Inland o Offshore? È il Processo che sceglie.
Inland o Offshore? È il Processo che sceglie.
Distopica e violenta. Un mix tra “Hunger Games” e “Black Mirror”, sicuramente. Quando ho iniziato questa serie ero attirata da quella vena di distopico che tanto emanava, ma poi sono rimasta abbastanza delusa.
3% è la prima serie originale prodotta da Netflix in Brasile, creata da Pedro Aguilera. Siamo in un futuro non meglio precisato, in una grande città brasiliana. Come ogni anno, si tiene il Processo, ovvero una sorta di grandissima selezione a cui partecipano ragazzi e ragazze che hanno appena compiuto 20 anni. Nell’arco di una serie di giorni, vengono sottoposti a varie prove per scoprire chi sono i più meritevoli: solo il 3% di loro potrà accedere all’Offshore, la ricchissima zona artificiale al largo della costa. Tutti gli altri dovranno tornare alle vite di tutti i giorni nell’Inland, l’entroterra, segnato da violenza ed estrema povertà. Insomma, una vera lotta per la sopravvivenza.
Ma se in Hunger Games avevamo la compassione dell’intero distretto – anche se non aveva le possibilità di aiutare concretamente – in 3% è un ‘tutti contro tutti’. Persino nell’ambiente domestico, quasi.
Sono otto episodi dedicati completamente alla stessa storia, con qualche flashback per far capire meglio la vita di qualche personaggio. Insomma, pochi ma buoni.
Questa serie però non si ferma ad una superficiale trama distopica, infatti Aguilera inserisce una dimensione politica pressante e presente. Si inserisce già dai primi episodi, con l’inserimento di un personaggio all’interno del Processo per l’Offshore. È una ragazza che fa parte della Causa, un gruppo ribelle che lotta per eliminare l’ingiusta divisione tra ricchi e poveri.
La serie ovviamente non potrebbe posarsi solamente su queste prove, difatti i momenti più interessanti diventano proprio i flashback e quando mostrano la vera vita nelle ‘favelas’ – se così possiamo chiamarle.
Se la recitazione funziona – vedi l’interpretazione di Michele, la ribelle, (Bianca Comparato) – e la sceneggiatura è di buona professionalità, lo stesso non si può dire della regia che alterna inquadrature dall’alto – tipici dei film ad alto budget e parecchio consistenti – a riprese che ‘Il Segreto’ può quasi prendere in giro.
Infine, giunge la parte dell’Offshore e inizia la confusione. Il 3% dei ragazzi meritevole può passare attraverso una struttura di legno perché le prove sono finite. No, non è vero: per passare devono scegliere di non avere figli.
Il che mi sembra abbastanza ovvio, se no il 3% non è più il 3%, no?
Ma questo viene detto ai ragazzi che si dimostrano poco entusiasti, tanto che alcuni vorrebbero tornare indietro e vivere di violenza, malavita e morire giovani.
La maggior parte, però, scegliere di restare e questo fa presagire una seconda stagione. Confermata poi, purtroppo, al San Paolo Comicon dallo stesso presidente di Netflix Latina, Vini Losacco.
-Poison El