Narcos: droga, sangue e carisma – parte II
Dopo questa lunga premessa, che altro non era che una scusa per parlare di Pablo, parliamo di tutto il resto, che di materiale ce n’è a bizzeffe. Non starò a riassumere la storia, in quanto sarebbe inutile, quindi mi soffermo nel punto focale di qualunque sceneggiatura “non originale”: com’è resa la storia?
A parer mio, da questo punto di vista, Narcos è ad oggi inarrivabile. La narrazione segue una sorta di logica del “Versus”, ovvero mostrando il POV di ambedue le fazioni: guardie (Pena, Murphy e tutti i loro alleati) e ladri (Pablo e i suoi). Questo porta lo spettatore ad assistere al tutto come ad una sorta di elastico: talvolta si avvicinano, talvolta si allontano, talvolta i primi ottengono una vittoria, talvolta la ottiene Pablo. E’ una narrazione molto complessa di norma, poiché lo spettatore finisce col sapere in anticipo le mosse di ambo le fazioni, ma questo, in qualche modo, non rende la serie meno affascinante, grazie a due domande ricorrenti per chi segue la serie:
1) Quali fattori esterni si muoveranno (dal governo colombiano a Reagan, dai ribelli comunisti colombiani alla coscienza dei singoli personaggi)? Chi ne trarrà vantaggio?
2) Sapendo quale mossa farà uno schieramento, quale contromossa adotterà l’altro? Riuscirà ad anticipare le mosse del nemico?
In questo, a voler fare un po’ un volo pindarico, troviamo quasi un’analogia con il buon vecchio Death Note.
Ma la nota più dolce, a mio modesto avviso, suona per i personaggi: ci sono dozzine di personaggi secondari, vero, ma sono tutti facilmente memorizzabili a causa di una caratterizzazione semplice ma efficace. I personaggi principali, invece, godono di uno spessore incredibile: la graduale discesa morale di Murphy ne può essere un esempio, come allo stesso tempo può esserlo l’antitetica “presa di coscienza” del suo compagno Javi Pena (interpretato dal sempre brillante Pedro Pascal). Oltre ai “leader”, ovvero loro due e Pablo, troviamo poi un’innumerevole quantità di spalle, che forse sono una delle cose più succose della serie: sono personaggi importanti ma che godono di una logica e un carattere che brillano di un realismo e una credibilità fuori dal comune e che, in una serie “normale”, sarebbero degli eccellenti protagonisti: parlo del Presidente Garivia, spesso considerato pavido ma che nasconde in realtà una schiena più dritta di quella di tutti i personaggi che lo circondano: la prudenza non è sintomo di viltà, ma di intelligenza. E lui ne è la prova, nonostante sia sempre in totale disaccordo con il suo amico e consigliere, nonché “Vice-ministro di Giustizia”, Edoardo Mendoza, più fumantino ma che ben gli fa da contraltare. Sullo schieramento opposto troviamo il “cervello” della macchina infernale di Escobar: suo cugino Gustavo Gaviria, simile negli atteggiamenti al suo quasi omonimo divenuto primo ministro. Ne ho sintetizzati tre scelti quasi a caso, ma se avessi voluto avrei potuto citarne a decine: sono loro a rendere la serie “speciale” e magnifica, per cui evito di compilare un elenco telefonico e mi limito a consigliare la serie a letteralmente chiunque, anche ai non amanti del genere (come il sottoscritto).
Per concludere questa recensione voglio riservare una piccola ala per i difetti della serie, data la loro scarsità. È ovvio che certe “imprese” di Escobar vengano leggermente esagerate, ma talvolta si va oltre la semplice sospensione di incredulità: in particolar modo, la questione del suo ingresso in politica sarebbe dovuta essere gestita un po’ meglio. Allo stesso modo come poteva essere meglio amministrata la gestione di altre questioni, molto lontane dalla realtà della storia e che forse avrebbero potuto essere più attinenti senza andare a peggiorare la trama effettiva della storia. Ma anche qua, stiam guardando il pelo dell’uovo in assenza d’altro. La prima serie di Narcos è un capolavoro e come tale va trattato. Chapeau.