‘Tredici ragioni perché’… non bisogna guardare questa serie [Part 1]
Ho pensato molto a cosa scrivere in questa recensione che, come avrete capito, verterà completamente sulla seconda stagione di Tredici ragioni perché.
Prima di scrivere qualsiasi cosa, ho guardato la stagione e qualche episodio più di una volta, ma soprattutto ho letto qualcosa sul web – prima di cimentarmi in una critica che potesse essere accusata di essere “senza fondamenta”.
Beh, cari fan di Tredici ragioni perché, se state cercando una recensione in cui si elogerà le componenti contenutistiche di questa serie… avete sbagliato proprio. Chiudete tutto, se non volete leggere. Ma se volete rimanere… dovete sapere a cosa andate incontro. No, non ci sarà clemenza su niente. Siete avvisati.
Premessa
Quando ho visto la prima serie, malgrado avesse alti e bassi, l’avevo apprezzata. Perché può piacere e non piacere, ma non era fatta male. Affrontava tematiche attuali e di rilievo da un punto di vista molto “diretto”, senza troppi fronzoli. Aveva una buona struttura, era abbastanza coerente e – soprattutto – era realistica.
Avevo immaginato – e non solo io, leggendo diversi pareri – che la seconda stagione si sarebbe concentrata sul processo alla scuola e ai ragazzi che avessero condotto Hannah Baker a scegliere la via del suicidio. E dai, infondo non eravamo andati lontani.
Commento
La componente del processo e il fatto che le testimonianze fossero rappresentate tramite una voce fuori campo, che svolge la funzione di narratore durante gli episodi, è qualcosa che ho veramente apprezzato.
Tra stupratori, vandali, bulli… la domanda che sorge spontanea è: ma prima di farli iscrivere c’è una selezione? Tutti qui i teppisti e i criminali o i turbati mentali perché ci piace educare le persone che hanno difficoltà? MA OH.
Inoltre, la scelta di far interloquire Clay con il fantasma (?) di Hannah è stato di pessimo gusto. È proprio in quel momento che ho cominciato a ridere. E non sarebbe dovuto accadere, visto i canoni che si prefigge di raggiungere la serie.
Una delle scene che ho apprezzato di più è stata quella in cui il counselor decide di testimoniare e assumersi le proprie responsabilità. È stata davvero toccante.
Sì, scusate. Ho un’altra domanda: ma perché i personaggi – che nella prima erano stati sviluppati abbastanza bene – nella seconda stagione hanno meno spessore di un foglio di carta?
Che belli i sequel.
-Poison El