Secret City è una serie Originale Netflix datata 2016, che ho scoperto soltanto in questi caldi mesi estivi. Attirata dal suo format, che vede solo 6 puntate della durata di circa 50 minuti, e da un’intrigante descrizione, ho così iniziato la visione di quella che si è rivelata una serie più complessa del previsto. Secondo il mio parere, sarebbe potuta essere sviluppata meglio. Moltissimi argomenti, complotti politici e segreti si districano troppo velocemente, appunto per il numero limitato di episodi, che risultano quindi molto intensi e poco adatti a chi è in cerca di una visione leggera.
Mi sono infatti dovuta soffermare più volte su alcune scene, se non addirittura su alcuni episodi, per poter comprendere appieno (anche se non sempre) lo sviluppo di questa trama così ricca di avvenimenti.
Già dalla locandina possiamo capire che abbiamo a che fare con una serie che tratta di politica. Dietro a quelli che sono i nostri protagonisti, infatti, si erge il Parlamento Australiano. La vicenda si svolge perlopiù a Canberra, ma sono i rapporti politici con la Cina ad essere al centro di tutta la storia.
Harriet Dunkley (Anna Torv) è una giornalista impiegata presso il The Daily Nation, molto caparbia e decisa, pronta a mettere a repentaglio la propria vita per la notizia.
Ho trovato il suo personaggio veramente ben strutturato ed interessante. Non demorde davanti a nulla, confronta le autorità politiche per avere delle risposte e, da brava giornalista, non mette mai in pericolo le proprie fonti. Si imbatte, sin dalle prime scene del pilot, nel ritrovamento di un cadavere, riemerso dalle acque del fiume in cui stava praticando canottaggio (ma che fortuna…). Il corpo, sventrato, è di Max Dalgetty, o almeno così crediamo, finché la nostra Harriet non scopre che è solo uno pseudonimo: il vero Max Dalgetty è deceduto tempo prima. “Dalgetty” (quello “finto”) era stato ucciso perché in possesso di materiale compromettente riguardante il Governo Australiano e il Governo Cinese.
Altro tassello importante in tutta la vicenda è Sabine Hobbs, studentessa australiana che si dà fuoco per reclamare i diritti del Tibet e, successivamente, viene incarcerata per questo suo gesto di protesta.
Assieme a lei, altri studenti cinesi fanno parte di questo movimento di liberazione del Tibet e, in quanto dissidenti, sono ricercati ed uccisi dal Governo Cinese.
Dalla parte degli antagonisti abbiamo il Senatore Mal Paxton e la Senatrice Catriona Bailey, nemici anche tra loro. Paxton si dichiara da subito in favore della Cina, mentre scopriamo solo alla fine della serie quale sia il vero schieramento politico della Bailey.
Harriet comincia ad indagare sul caso Dalgetty e coinvolge il suo ex marito Kim Gordon per aiutarla a decifrare una scheda sim criptata, scheda che era costata la vita a Max Dalgetty e che costerà la vita anche alla povera Kim. Nonostante il suo grande sacrificio, sarà proprio l’aiuto fornito da Kim che porterà Harriet a svelare il losco complotto che si cela tra Cina e Australia.
Poco spazio lasciato alle relazioni amorose: la nostra protagonista non fa in tempo, in queste sei brevi puntate, a sviluppare delle vere e proprie relazioni sentimentali, se non con l’amante del suo ex marito Kim, l’agente segreto Charles Dancer, che nell’ultima puntata scopriamo avere un ruolo tutt’altro che marginale (plot twist molto apprezzato, ma prevedibile). In ogni caso, non è di certo una serie che si basa sulle interazioni amorose tra i personaggi, fatto che ha permesso di lasciare ampio spazio al tema politico e del complotto.
In conclusione?
Una trama sicuramente molto intrigante, ma che presenta dei passaggi troppo affrettati e confusionari, che non lasciano il tempo di assimilare, o addirittura di capire, quello che sta succedendo realmente. Nonostante questo, l’ho trovata molto gradevole e da divorare in pochi giorni!
A voi piacciono questo genere di serie TV? Fatecelo sapere in un commento!
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– Eleven’s Eggo
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