Il tempo perduto – Streghe, demoni e segreti vecchi secoli (parte 1)

Ehilà lettori! Oggi vi propongo un’intervista a un’autrice emergente che sembra promettere molto bene. 

Giulia Letizia, il cui nick su Wattpad cambia a seconda della canzone che preferisce ogni mese, è una scrittrice appassionata di viaggi e laureata in psicologia.

The Nerd’s Family ha deciso di intervistarla perché Giulia ha pubblicato da self, quindi contando solo sulle proprie forze, il primo libro della sua trilogia urban fantasy “Le Cronache della Congrega”. Oggi siamo qui proprio per parlare di questo romanzo, Il Tempo Perduto, un romanzo di streghe, magia, segreti vecchi secoli e maledizioni. L’intervista sarà divisa in due parti, perché c’è davvero tanto da dire! Iniziamo con la prima?

Ciao Giulia! Benvenuta!

Grazie! È davvero un piacere essere qui!

  1. Credo che il modo migliore per presentare il tuo libro sia attraverso le tue parole quindi ti lascio lo spazio per farlo: dicci qualcosa su questo primo romanzo. 

Temevo e aspettavo questa domanda perché io, nonostante l’abbia scritta, faccio fatica a parlare di questa trilogia, a trovare un punto di inizio e spiegarla chiaramente e senza tanti giri di parole inutili. Un’ottima presentazione, direte voi!

Iniziamo a buttarla sull’ironico, provando a spiegare in molta sintesi di cosa parla Il Tempo Perduto grazie alle parole sarcastiche di uno dei protagonisti: «Oh, sai, le solite cose. Segreti vecchi di mezzo secolo, memorie perdute, demoni da uccidere…»

Ambientata nel 2014 a Los Angeles, vi ritroverete catapultati nelle vite di cinque personaggi immortali dall’aspetto di giovani-adulti ma con quattrocento anni di esperienze e dolore alle spalle. Un presente intervallato da diversi flashback sul passato che serviranno a spiegare, a loro tempo, le vicende importanti che li hanno portati alla situazione attuale, a cominciare dalla loro nascita a streghe e per finire al motivo per cui si ritrovano, dopo tutti i loro secoli di vita, in balia di un demone.

Il Tempo Perduto segue così le vicende di una Congrega di streghe, quella del 1661, in un momento particolare della loro esistenza: da duecento anni sono tormentati da una maledizione particolare donata gentilmente loro da un Principe dell’Inferno e, proprio quando crederanno di potersi finalmente liberare da questa condanna, accadrà qualcosa che farà perdere loro ogni speranza, dando inizio così a tutto l’arco narrativo del primo libro.

Tra segreti mai svelati, relazioni complicate e, spero, colpi di scena, i POV di Alais, Aron, Thea, Francis ed Elin, vi faranno entrare nella mente di ogni membro, dispiegando sempre di più i tasselli delle loro vite intrecciate.

  1. Com’è nata l’idea per “Le Cronache della Congrega”? Cosa ti ha ispirato?

Nel 2011 ho scoperto Cassandra Clare e la sua saga Shadowhunter. È stata lei a farmi scoprire l’urban fantasy e, specialmente, l’utilizzo di POV diversi all’interno di una storia, capaci di trascinarti nella mente di ogni protagonista e farteli amare tutti, buoni e cattivi che siano. Mi è rimasta addosso questa tecnica e l’idea di un mondo nascosto al nostro che vive però di pari passo a noi. Per quanto riguarda quindi l’idea di ambientazione generale e lo stile di scrittura, sento di dire che mi sono ispirata in tutto e per tutto a lei. Ogni volta che leggevo un suo romanzo (ma anche adesso), le sue parole erano capaci di farmi crescere dentro la voglia di scrivere, fino a quando ci ho voluto provare davvero.

Per quanto riguarda la trama, a dire la verità, non saprei rispondere. Mi ricordo solo che un giorno qualunque del 2014 mi sono messa a computer e ho buttato giù una prima parte di prologo ma poi, come ogni “romanzo” scritto fino a quel momento, è rimasto a fare la muffa nelle mie cartelle del computer per almeno un anno. Un giorno, a caso, l’ho riaperto e mi sono detta che male male non era, così mi sono impegnata a continuarlo. La trama si è costruita a mano a mano che andavo avanti. Sapevo a grandi linee come volevo che andasse ma, in tutta onestà, prima di quella sono nati i protagonisti ed è stato seguendo loro e il loro carattere che hanno preso vita i libri.

(Un ringraziamento speciale a Francis che con il suo carattere masochista e la sua tendenza a tenersi segreti fino alla morte mi ha dato modo di portare avanti tre libri. MUÀ.)

  1. C’è un personaggio nella trilogia in cui ti rivedi di più, qualcuno che senti più vicino?

Sento molto vicina Thea, anche se non mi rivedo in lei perché è il mio completo opposto. È una ragazza testarda, impaziente, decisa, in una certa misura ribelle ed egoista, ben diversa da me che mi sento ripetere da una vita di come io abbia “una pazienza infinita, una calma invidiante e una passione per aiutare gli altri che va bene, però ogni tanto pensa a te”. In questo senso, dovrei dire di essere simile ad Aron. Eppure Thea ha quella parte fragile che neanche lei sa tanto bene di avere e che mi fa venire voglia di tirarla fuori dalle pagine del libro per stritolarla un po’.

  1. Qual è il messaggio più importante che vorresti passare ai lettori con questi libri? Qual è il cuore di questa trilogia?

 La prossima volta che qualcuno vi scambia per qualcun altro in mezzo alla strada, pensateci un po’ prima di dire che si sono sbagliati che non si sa mai che in realtà siete una strega di quattrocento secoli sotto maledizione.

No, facciamo i seri.

Per me, il cuore di questa trilogia sono le relazioni che vi sono tra i personaggi, ma ho visto che la seguente domanda parla proprio di questo aspetto quindi, per non allungare inutilmente il papiro che sarà questa intervista, andiamo direttamente alla prossima!

  1. Leggendo “Il Tempo Perduto” una delle cose che mi ha colpito di più sono le relazioni intessute tra i personaggi. So che anche per te questo è un aspetto importante, ti va di parlarcene?

Il Tempo Perduto parla di streghe unite tra loro in una Congrega, un legame da me pensato talmente totalizzante e viscerale che desideravo si sentisse in ogni loro gesto, parola, sguardo, quasi come se il lettore potesse toccarlo e vederlo a sua volta. Ho quindi messo molta attenzione nella costruzione dei fili che legano i cinque protagonisti tra loro, che è stata in realtà la cosa che mi è venuta più facile, ed è un aspetto per me importantissimo. Desidero che si senta, mi piacerebbe che venga colto da tutti questo amore che li spinge l’uno verso gli altri, che rimanga di sottofondo anche nelle loro interazioni più difficili, perché penso che sia la colonna portante dell’intera trilogia. Il mio obiettivo più grande è che questi personaggi appaiano reali e capaci di suscitare emozioni, come i protagonisti di alcune mie saghe preferite sono riusciti a investirmi di feelings, strette al cuore e allo stomaco e, perché no, lacrime. Vorrei che fossero dei personaggi capaci di rimanere. Punto in alto, eh? 

  1. Come ti sei avvicinata alla scrittura?

È una bella domanda a cui non credo di avere risposta precisa. Negli anni d’oro della mia adolescenza passavo notti insonni a scrivere su pezzi di fogli volanti lettere a persone che non le hanno mai lette (un saluto all’amore dei miei sedici anni senza cui pensavo di non poter sopravvivere.). Passavo notti intere a ragionare sui sentimenti, scrivendo tutto quello che mi passava per la mente, ricopiandole poi a computer per stamparle e riempire porta-listini. Ne ho due completamente pieni, stanno lì nel punto più alto dell’armadio, cosa che devi salire in punta di piedi su una sedia per riuscire a recuperarli, che non sia mai averli troppo vicini che poi ti viene la malsana idea di rileggerli dopo sette anni e ti potrebbe venire un attacco di panico

Eppure, scrivevo anche prima. Il mio primo abbozzo di fantasy risale a tredici anni, forse. Non mi ricordo assolutamente niente, solo di queste due amiche che andavano in vacanza al mare e conoscevano una fata di nome Eau. Chissà di che parlava.

Posso però dire, sicura al cento percento mano sul fuoco, che al mondo della lettura in generale ci sono approdata con Harry Potter, prendendo in mano la Pietra Filosofale a nove anni. Da lì, è stato un continuo amore a prima vista.

  1. Cos’è per te scrivere? Una via di fuga, un modo per esprimerti?

Non si direbbe, perché sto scrivendo tantissimo spiattellando i miei più grandi segreti e facendo la mitica salutando spudoratamente il primo “amore” (che se pensassi che c’è anche solo una millesima possibilità che possa leggere questa intervista, mi sotterrerei) ma sono introversa. Ma introversa seria, con tutti i complessi mentali e di inferiorità che ne conseguono.

La scrittura è quindi un modo per esprimermi liberamente, di mettere giù pensieri chiari che a dirli a voce è difficile, mi perdo a metà frase perché metti che non ho il coraggio, metti che non mi sta uscendo come vorrei, metti che è troppo complicato, e allora cambio, voglio tornare indietro e, aspetta, facciamo un attimo un salto in avanti che così poi si capisce meglio il discorso di prima.

E poi c’è tutto di me, sparpagliato nei miei diversi personaggi. Anche quello che vorrei essere ma che non mi riesce poi così bene.

La vita scritta è più facile, puoi tornare indietro, cancellare e riscrivere, e sebbene chi legge sta effettivamente leggendo te, non ha comunque davanti il tuo viso e la voce è quella che dà ai protagonisti nella sua mente. È più confortevole così, no?

 ***

Per oggi è tutto! Se l’intervista vi ha incuriosito e volete continuare a leggere le risposte di Giulia Letizia su Il tempo perduto, allora ci rivediamo settimana prossima, venerdì 21 settembre, con la seconda parte!

A presto, 

Sourwolf Blake

thenerd

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