Il 30 novembre 2018 è sbarcata sulla piattaforma di Netflix una serie tv italiana prodotta dalla Fabula Pictures: Baby.
Composta da sei puntate, la sceneggiatura di Baby è scritta da i GRAMS, un collettivo di scrittori composto da cinque giovani autori: Antonio Le Fosse, Re Salvador, Eleonora Trucchi, Marco Raspanti e Giacomo Mazzariol. A completare il già copioso team di scrittura sono stati gli head writer e coautori del soggetto di serie Isabella Aguilar e Giacomo Durzi.
Il Soggetto e il Regista
La sceneggiatura è ispirata alle vicende delle cosiddette ‘baby squillo’ dei Parioli che sconvolsero l’opinione pubblica nel 2014.
In sintesi? Due minorenni si prostituivano con facoltosi clienti per soldi, cocaina e regali.
I primi due episodi sono diretti da Andrea de Sica, reduce del successo I figli della Notte – la sua prima opera. Chiara, Ludovica e i loro compagni sono molto simili ai personaggi del suo film d’esordio: abitanti della Roma bene, sono ragazzi privilegiati e di famiglia ricca. Nonostante la loro posizione sociale sia delle migliori, manca qualcosa: la loro adolescenza non è contrassegnata dalla spensieratezza che contraddistingue quell’età, ma dalla ricerca spasmodica di attenzioni e trasgressioni sempre più estreme per riempire quel vuoto che li ossessiona. Quale vuoto? Quello dell’amore.
Nemmeno i genitori sono in grado di soddisfare questo bisogno primordiale. Anzi, vengono presentati come inadeguati a essere una guida e un buon esempio per i propri figli.
Chiara è il personaggio che più combatte contro questo bisogno e questo dualismo ‘stare alle regole/attrazione per il proibito. Cerca di stare alle regole, di essere la figlia perfetta, ma in realtà nasconde un lato oscuro abbastanza ‘consuetudinario’ all’interno del cinema italiano: è attratta dal malsano, da ciò che in superficie le fa schifo. Inizierà a scoprire questa sua parte nascosta grazie alla vicinanza e all’amicizia di Ludovica. Una ragazza problematica, dall’animo sfacciato ma fragile, segnata già in giovane età – ha sedici anni nella serie – da umiliazioni e gravi mancanze.
Gli sceneggiatori non hanno creato una serie su un fatto di cronaca con un’impronta puramente ‘giornalistica’, ma hanno creato una storia con personaggi che vivono, si raccontano, si mostrano. I GRAMS si sono concentrati sull’indagine psicologica, sui conflitti interiori, fino a giungere al fulcro più estremo: la prostituzione.
La regia, le inquadrature si concentrano soprattutto su raccordi – in particolare sullo sguardo – e primi piani spiazzanti che cercano di mostrare il lato malinconico e sofferente delle vite di questi ragazzi privilegiati.
Trovo che alcune inquadrature e scelte di trama siano state inserite quasi come ‘giustificazione’ e non come denuncia dei fenomeni di cui ormai l’internet è il luogo per eccellenza. Come le ‘lolita 2.0’ o l’online shaming. Insomma, della presenza di ragazzine troppo cresciute per la loro età che mostrano il loro corpo per ricercare le attenzioni che in altro modo non riescono a ricevere.
Il primo episodio – dai tratti preoccupante e interessante – sembrava voler galoppare verso un escalation di crescita e miglioramento tecnico – e deterioramento morale.
Cosa non ha funzionato? Dal secondo episodio in poi ogni buon proposito si è completamente dissolto in una trama banale e puramente prevedibile. In alcuni momenti pareva quasi stessero giustificando le scelte prese dai personaggi perché ‘non hanno alle spalle una famiglia solida’.
Mentre scorrono le immagini, le parole delle canzoni dei Maneskin assumono un’altra forma. Dove la frase ‘le ragazze si vogliono divertire’ di Cindy Lauper perde la spensieratezza che dovrebbe avere e si trasforma in un’orrenda realtà particolarmente troppo vicina ad ognuno di noi.
-Poison El
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Grazie, non la conoscevo.
Grazie a te! :)