Buongiorno e bentornati (o benvenuti, in caso foste nuovi!) alla rubrica “Rainbow Umi recensisce”!
Chi ci segue in pagina, avrà già notato che a Natale mi è stata regalata la Nintendo Switch con Legends of Zelda: Breath of the wild. Prima di continuare vorrei fare una premessa: non ho mai giocato ad altri Zelda, non sono una videogiocatrice e non mi intendo di videogiochi, quello che leggerete non riguarderà alcun aspetto tecnico del gioco; qui vi parlerò di storytelling, world building e character development. Lo sto ancora finendo, sono circa a metà, quindi questo articolo sarà una prima occhiata generale su quello che ho potuto vedere finora.
Legends of Zelda: Breath of the wild è stato uno dei primi titoli usciti per Nintendo Switch; infatti è stato prodotto dalla Nintendo stessa ed è stato lanciato il 3 marzo dell’anno scorso, sia per Switch che per WiiU.
Questo non è stato un acquisto fatto a caso: il mio ex ci giocava, e io, presa dalla curiosità, di tanto in tanto gli fregavo la Switch per poterci giocare, ma non ero riuscita a fare molto – anzi, con la mia pigrizia, quando c’erano mostri troppo difficili gli smollavo la console. Ho poi voluto averne una mia, perché se mi ritrovo a passeggiare in giro per i boschi, per ore, meravigliandomi di quanto quel mondo sia vivo, dandomi la sensazione di non volermi staccare mai, è il gioco giusto per me.
Parliamo invece del concept di questo gioco: un eroe, Link, dopo cento anni di sonno, si risveglia e ha perso del tutto la memoria. A questo punto è una voce sconosciuta a guidarci (la principessa Zelda) che ci dice che prima di questo sonno eravamo un eroe che ha combattuto fino alla fine per sconfiggere il mostro che minacciava il mondo; purtroppo, scopriamo che quel mondo è ancora del tutto da salvare. Veniamo da subito indirizzati da varie task per diventare il vero eroe™, e per quanto possa aver sentito la mancanza, almeno fino ad ora, di una psicologia più profonda di Link, mi rendo conto che in questo gioco, se ci fosse stata la messa in discussione del suo ruolo, sarebbe caduto tutto; di conseguenza, non era una mossa adeguata da attuare, quindi meglio così com’è.
La storia base vi viene ripetuta fin quasi alla nausea: 10.000 anni prima la Calamità Ganon fu sconfitta dalla Principessa, dall’Eroe, i quattro Campioni (uno per ogni popolo) con i propri Colossi Sacri, e i macchinari progettati appositamente. Cent’anni fa, quando Ganon tornò, un po’ ingenuamente a mio parere, vollero riattuare la stessa strategia; ma Ganon si era preparato un bel piano, e prese possesso non solo dei macchinari, ma anche dei Colossi Sacri, uccidendo i quattro campioni. La Principessa, per un soffio, riuscì a portare via l’Eroe, Link, e a farlo sprofondare in un sonno risanatore, affinché le ferite potessero ripararsi. Che dire? È proprio bello come concept, soprattutto perché all’inizio lo capisci solo con la testa, poi, mano a mano che si avanza nel gioco, lo capisci col cuore, perché si ottengono vari ricordi, e ti viene il magone perché ormai sono tutti morti e non c’è niente che tu possa fare per rivivere quei momenti.
Da non sottovalutare la struttura delle task secondarie e terziarie, che accompagnano il gioco per tutto il tempo e fanno in modo che non ci si possa mai annoiare: vi ritroverete a cacciare insetti per una bambina, fino a dovervi spogliare (letteralmente!) per confermare la vostra identità. Vi consiglio di completarne il più possibile perché danno davvero quel tocco in più – la mia side quest preferita sono i Korogu, folletti della foresta che si divertono a nascondersi in giro per tutta Hyrule e che vi regalano un semino quando li beccate ♡ chissà cosa succede se ne raccogliete un bel po’!
Per quanto riguarda il character building, come accennavo prima, in un gioco del genere dare molto spazio alla psicologia del protagonista era una scelta troppo rischiosa: questo gioco ha già tante cose belle messe tutte insieme, aggiungere una psicologia complicata e vari finali sarebbe stata, almeno credo, la scelta peggiore che avrebbero potuto fare. E se da una parte ogni tanto mi sono chiesta: “E se Link non avesse voglia di salvare il mondo?”, dall’altra sono convinta che ogni tanto ci sia bisogno di un personaggio col quale riusciamo ad empatizzare, ma che faccia sempre la scelta giusta; insomma, la versione Captain America di noi stessi.
Durante il gioco tante cose cambiano, quello che non cambia è come il mondo rimanga sempre solido sotto i piedi del giovane Hylia. Mondo che non smette mai di stupirti, che ha sempre qualche piccola chicca da offrire a chi tiene gli occhi sempre aperti e ha la curiosità a mille. In questo capitolo di Zelda è proprio bello perdersi, lasciar stare le quest e vagare in giro, a piedi, a cavallo, o lanciandosi con la paravela da una montagna all’altra.
Ogni regione ha un suo clima, un suo popolo, con usanze e costumi, ma non solo: anche cibi, armi e mostri completamente diversi l’uno dall’altro. A Gerudo devi travestirti da ragazza se vuoi entrare in città, perché gli uomini non sono ammessi; gli Zora ti insegneranno a risalire le cascate e i Rito a volare… Questi sono solo esempi di ciò che si può trovare, credetemi quando vi dico che tutto ciò è solo un piccolo assaggio.
Intelligente anche la scelta di piazzare il castello reale al centro della mappa, così che possa essere visibile da ogni regione.
Nel prossimo articolo vi dirò cosa penso della Campionessa degli Zora, Mipha, e del suo Colosso Sacro, Vah Medoh! Intanto fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo di Zelda, sotto nei commenti!
– Rainbow Umi
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