Settimana scorsa ho sentito Simona Robotti e chiacchierando è emerso che sarebbe stato interessante intervistarla, visto la sua esperienza da attrice.
Ho pensato alle domande e l’ho richiamata, pronta a registrare e a prendere appunti! Non è stato facile, essendo la mia prima intervista così “di persona”, ma è stato molto divertente. Abbiamo riso, ci siamo raccontate cose che ho preferito non inserire nell’intervista. Ma ora è arrivato il momento di scoprire cosa ci siamo dette e cosa abbiamo voluto rivelarvi. Curiosi?
Partiamo con le domande!
S: Sono una donna che crede che sia necessario far conoscere la forza delle donne e sono una sostenitrice della parità dei sessi. Però non penso che tutte la pensino come me.
S: È stata una cosa casuale. Fino ai 20 anni ho scritto critiche cinematografiche. Sono cresciuta con il cinema. Insomma, Kevin Costner, Richard Gere… prima ho iniziato a scrivere per il giornale del liceo, poi per quello dell’università. Ho sempre immaginato come potesse essere sempre dall’altra parte. Avendo mantenuto i contatti con la mia professoressa di lettere del liceo, ci rivediamo e mi dice che stanno organizzando un corso con un regista famoso al liceo classico. Ci ho pensato e mi sono messa in gioco.
Così è cominciata. Iniziando con la Lisistrata e i Praticelli di Bovidel Checov. Poi ho fatto alcuni corsi di specializzazione e la cosa è andata avanti ed eccoci qua.
S: Troppi? (ride) 22 anni.
S: Sono vicepresidente della compagnia teatrale “Divergenze parallele”, fondata dal regista Ferruccio Reposi. Noi proponiamo una tipologia di teatro differente: portiamo in scena il teatro ‘700, il teatro itinerante nelle piazze. Siamo itineranti e viaggiamo con mezzi nostri: quinte, service luci, musiche… tutto allestito da noi. È un teatro molto difficile perché non ha struttura e ha solo la scenografia. Lo facciamo da 10 anni e l’anno scorso sono diventata vicepresidente. Io mi occupo della parte burocratica. Tanti mi hanno criticata, perché lo sminuiscono, pensando che sia amatoriale… ma non è così. È un teatro antico. Tanto che il mio regista è quasi un capocomico che fa tutto: regista, ha le idee, fa il produttore. È sparita tale figura in questo periodo, ma il nostro regista lo è ancora.
S: Debuttiamo il 9 di agosto. Non ne posso più di provare! (ride)
Saremo in scena con uno spettacolo che si intitola Dove incomincia l’assurdo, comincia la vita. È molto breve, non ha legami con la realtà. È la rielaborazione di due testi del teatro dell’assurdo a cura di Divergenze Parallele.
Sì, una persona muore, ma mentre in scena ci sono le persone della sua vita e ne parlano male, lui è in scena. È un fantasma e vede tutti e interagisce con le persone reali. Ho voluto una rielaborazione differente anche del cadavere, come un “clown bianco” della situazione: avrà tutte le caratteristiche del morto, ma indosserà una giacca con le pailettes dorate. Sarà una spettacolarizzazione della morte. Clownesca, grottesca, esagerata… assurda.
S: Da circa due anni. È un’esperienza completamente diversa dal teatro. In radio si regista e si sistema con la post-produzione. Il teatro è qualcosa che ti dà l’immediatezza: siamo in diretta, quello che succede sul palco resta, e lo stesso per il pubblico. Non hai la possibilità di sbagliare.
Noi siamo la radio “BBSI” e la trasmissione si chiama “LMCA”: la mia cara Alessandria. C’è una parte di programma in cui interpreto i miei romanzi “teatro in radio”. Con questo regista – che è anche uno storico – mi trovo davvero bene e sono circa due anni che vado in onda.
S: Scrivo da quanto avevo sei anni. Io devo scrivere per vivere. Già da bambina. È una cosa innata, istintiva, quasi come camminare. Ecco sì, scrivere è come camminare, per me. Quando ero piccola scrivevo poesie, filastrocche e chiedevo a mia mamma di dire alla maestra di farmele leggere in classe. La scrittura è dentro di me da sempre.
S: “Addio a un amico” è il 13 romanzo della saga del conte. Secondo me è un romanzo diverso dagli altri – certo me lo dovranno dire i lettori – ma posso dire che si basa tanto sulle sue tematiche passate: dolori passati, fobie… completa i personaggi precedenti.
S: Inizia con la morte di uno dei tre protagonisti e il ritrovamento del corpo di quest’uomo che è il migliore amico del protagonista. Il Conte – il protagonista – capisce che quel corpo non è quello del suo amico. Uno dei capitoli che preferisco è quando il Conte va dalla Regina Vittoria – i miei romanzi sono sempre ambientati in epoca vittoriana – e chiede di essere mandato nel castello dove paiono che questi fatti siano accaduti, ma il Conte vive nello scandalo – in quanto i lettori sanno che vive con Sally e sua figlia – e gli nega il permesso. Ma nonostante tutto, la Regina, soggiogata dal fascino del conte, gli permette di indagare.
S: Il mistero è necessario. Il giallo, l’avventura, l’enigma da sciogliere… il crearli mi piace moltissimo. Creare enigma e soluzioni… lambiccarmi in soluzioni e situazioni.
S: “L’informatore alessandrino” in cui scrivo recensioni per aiutare i lettori a riscoprire le vecchie pellicole. Parte tecnica e parte critica del film.
S: Leggo sempre. Ho sempre un libro in borsa. Tutti i generi. Qualsiasi cosa possa catturare la mia attenzione. Può essere anche un banalissimo romanzo d’amore. Devi leggere se vuoi scrivere. Nei miei personaggi ci sono cose di personaggi diversi di cui ho letto.
S: Il Conte nasce come una simbologia. Il simbolo di quello che tutti vedono ma non devono vedere. Tutti vedono la sua menomazione, ma non è solo questo, è molto di più. Vox popoli, vox dei.Quello che il popolo dice ma non è. La rappresentazione dello sbaglio della voce del popolo. Il conte è il simbolo del superamento dei deficit fisici.
S: Cavalcare, prendersi un po’ in giro e prendere in giro le persone che fanno del pietismo su di lui. Chi lo vuole aiutare, perché è molto ironico. È un lord inglese, ha un’ironia british.
L’intervista finisce qui. Se voleste leggere le sue poesie, potete trovarle qui.
A presto.
Voleste chiedere qualcosa a Simona? È aperta alle vostre domande!
-Poison El
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