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Dracula e la paura della mortalità

La nuova serie tv di Netflix deve sicuramente fare i conti con quattro elementi: il romanzo di Bram Stoker, Dracula con Gary Oldman, Dracula con Jonathan Rhys-Meyers e infine Castelvania. Per fortuna, ogni adattamento ha avuto una sua chiave di lettura del celebre vampiro che ha, da quel glorioso giorno in cui Stoker ha deciso di trasformare un guerriero moldavo in una creatura della notte, da sempre affascinato la nostra cultura.

Dracula

Stavolta è il turno di Steven Moffat e Mark Gatiss tornare a raccontare un classico della letteratura, proprio come avevano già fatto con Sherlock.

Come i due autori hanno detto, il fascino di Dracula sta nel personaggio principale che loro hanno voluto rendere il vero protagonista del progetto: non facile, visto che il romanzo – il massimo elemento da cui prendere ispirazione – è raccontato dal punto di vista degli umani che suggeriscono la presenza del conte. Lo stesso film con Gary Oldman aveva dovuto inserire la sottotrama di Mina Murray come reincarnazione della moglie di Vlad per dare al vampiro più spessore drammaturgico.

Perciò, Moffat e Gatiss scelgono di seguire la struttura del libro, ma non la narrazione, con una formula tripartita: il primo episodio è incentrato sull’incontro tra Dracula e Jonathan Harker in Ungheria – anno 1897, in cui il romanzo fu dato in stampa –, il secondo si concentra sul viaggio della nave russa Demeter e il terzo è interamente dedicato alla presenza londinese del Conte.

Il senso dell’umorismo e il colpo di scena 

L’approccio alla narrazione è rispettoso e nel contempo irriverente di un miscuglio di tanti elementi che vanno dal mito al romanzo: la natura epistolare del libro viene omaggiata e il Conte stesso conferma il carisma e l’audacia tipico delle leggende.

Oltre agli omaggi e alla fedeltà, è presente un ottimo senso dell’umorismo che richiama la produzione Hammer e ovviamente non manca il gusto del post moderno, evidente soprattutto nella reinvenzione del personaggio di Renfield.

Poi c’è sicuramente la componente erotica che si palesa già dei primi minuti quando suor Agatha Van Hensing (eh sì, qui c’è il colpo di scena!) domanda a Harker se tra lui e Dracula ci sono stati rapporti sessuali, una lettura ironica che continua anche nel momento in cui il vampiro definisce Jonathan “la mia sposa” e successivamente si presenta davanti al convento, in cui è ospite Harker ed è presente suor Agatha, completamente nudo.

Interpreti


Proprio la presenza di Claes Bang, interprete di Dracula, dà alla miniserie elementi ancor più interessanti. La sua performance è divertente, tanto che consiglio di vederla in lingua originale, se riuscite: alla trasformazione fisica si aggiunge quella vocale, con Dracula che inizialmente si esprime in un inglese stentato con accento ungherese e poi si fa progressivamente sempre più british. Ah sì, con il sangue acquisisce la lingua della vittima e il suo umorismo.

 

“Lei è un mostro”
“E tu sei un avvocato. Nessuno è perfetto”.

Un attore che domina ogni inquadratura e compensa la CGI che pecca in qualche inquadratura e alcuni passaggi un po’ troppo veloci.
Dracula è un personaggio in equilibrio perfetto tra eros e thanatos in un progetto che non esita a mettere in scena la brutalità di un villan spietato e nel contempo bisognoso e dipendente dal sangue.

Il sangue è vite.

Dracula viene quindi trasformato in un antieroe per riconquistare una storia non è sempre incentrata su di lui.

-Conclusione

Nel terzo episodio però si evidenzia ancora una volta il principale difetto degli autori, riconoscibile anche nell’ultima stagione di Sherlock: un certo autocompiacimento nella scrittura, dettato dalla voglia di reinterpretare la narrazione in una chiave moderna e maggiormente brillante.

L’idea di trasportare Dracula nel presente è interessante, così come la scelta di avere due versioni di Van Helsing, nel 1897 a oggi, con lo stesso volto: ammirevole la doppia performance di Dolly Wells, olandese quando fa la suora e britannica quando diventa una scienziata.

Coraggiosa l’idea di far uscire di scena fin dal primo episodio Jonathan e Mina, ribadendo la centralità della narrazione, ma la loro assenza si fa sentire un po’ nel terzo episodio, in cui il personaggio di Lucy Westenra è gestito male ed è anche molto fastidioso, Renfield diventa l’avvocato del vampiro e una sceneggiatura che arranca fino al finale, in cui si scopre davvero quello che teme Dracula: la propria incapacità di morire.

Problema che però sceglie di risolvere bevendo il sangue di Zoe Van Helsing, affetta da un tumore allo stadio terminale – il sangue dei moribondi è velenoso.
Così il tutto si conclude con una frase a effetto:

“Dopotutto questo tempo, pensavi che avrei lasciato facesse male?”

-Poison ξl

Poison El

[Proofreader e Editor. Digital Content Creator. Blogger. Artist. Traveller. Aspirant Writer.]

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