Il 25 maggio 2000 usciva nelle sale italiane American Psycho, diretto da Mary Harron. Ispirato all’omonimo romanzo di Bret Easton Ellis del 1991, racconta lo stile di vita di un ricco e maniaco yuppie della New York del 1987.
Il ricco uomo d’affari Patrick Bateman (interpretato da Christian Bale), è il tipico rappresentante dell’alta classe sociale cui egli appartiene: frequenta i locali più esclusivi della grande mela, possiede una casa invidiabile, indossa vestiti di lusso, frequenta belle donne e ha una cura maniacale per l’aspetto fisico. Patrick infatti è bello, ha un fisico invidiabile e un viso pulito. Il classico ragazzo della porta accanto. È colto ed enigmatico ma sa essere anche brillante e alla mano. In realtà, Patrick è tutt’altro di come appare nella vita pubblica: di giorno ostenta con i colleghi una vita apparentemente perfetta e di prestigio, mentre la notte esplode l’altra personalità del protagonista.
Patrick è un maniaco omicida. Prova disprezzo per gli emarginati, invidia nei confronti dei colleghi, ha piacere solo nel distruggere tutto ciò che non è conforme al suo stile di vita. Quando una serie di eventi lo porteranno a confessare gli omicidi perpetrati, si ritroverà ad apprendere con gran stupore e confusione che non ci sarà pena per le sue azioni, se non quella di essere condannato a vita a desiderare il male altrui.
American Psycho debuttò al Sundance Film Festival il 21 gennaio 2000, dove ha diviso la critica. Molti hanno elogiato positivamente l’umorismo nero caratteristico della pellicola e la viva rappresentazione degli yuppies degli anni ’80. Molte critiche positive sono state indirizzate all’interpretazione magistrale di Christian Bale (allora agli inizi della sua carriera). Altre critiche negative sono state riservate per la sua natura violenta. È stato additato come pellicola volgare, che sfiora il pornografico, per una scena in cui Bateman ha un rapporto a tre con due prostitute. I produttori hanno successivamente eliminato circa 18 secondi di riprese, per ottenere una versione del film con classificazione R (rated).
L’autore Bret Easton Ellis ha affermato che «American Psycho era un libro che non pensavo dovesse essere trasformato in un film», in quanto “il mezzo del film richiede risposte”, il che renderebbe il libro “infinitamente meno interessante”.
In un’apparizione nel 2014 sul podcast WTF, Ellis ha ribadito la sua opinione che la sua concezione di Bateman come narratore inattendibile non abbia fatto una transizione del tutto riuscita dalle pagine del suo libro al grande schermo. Aggiungendo che la narrazione di Bateman era così inaffidabile che persino lui, come autore del libro, non sapeva se Bateman fosse descrivendo onestamente eventi realmente accaduti o se mentiva o addirittura allucinava.
Tuttavia Ellis ha apprezzato il fatto che il film abbia dato al suo romanzo “una seconda vita” presentandolo a nuovi lettori.
Il personaggio di Bateman, malato e borderline, pur avendo una vita agiata, non riesce a godere di essa e del lusso che lo circonda, ha perso ogni capacità di capirne il valore d’uso. Il film presenta una perenne ostentazione del lusso in ogni singola scena, proprio a far capire il grado d’estrazione sociale del protagonista. Nelle ore notturne scatena il suo demone interiore. Bateman utilizza le canzoni come colonna sonora delle imprese omicide in casa sua. Sotto le note di Huey Lewis and the News e i Genesis, lo vediamo adempiere alla sua follia omicida, parlando ai poveri malcapitati delle biografie degli artisti o spiegando il significato dei singoli che sceglie.
Le pulsioni violente e sanguinarie tuttavia non sono il punto focale della trama. Ellis punta il dito verso la società di New York degli anni ’80, precisamente nell’alta finanza di Wall Street.
Nella società dipinta nel libro, chi appartiene a questa élite che controlla il Paese, può permettersi di fare tutto quel che desidera senza doversi preoccupare di essere scoperto.
Il periodo storico in cui si svolge American Psycho è il cosiddetto Reaganomics (un portmanteau tra le parole Reagan ed economia), in riferimento alle politiche economiche promosse dal presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan negli anni ’80. A questa politica economica consegue una dilagante libertà del settore finanziario e speculazioni borsistiche. Il 1987 infatti è l’anno di un’importante crisi economica. Nel complesso gli anni ’80 videro un aumento del distacco tra ricchi e poveri, e il declino di welfare state, uguaglianza e libertà.
Ellis, sulle basi della sua critica sociale, definisce una società caricaturale dove trionfa il dio denaro e la sola occupazione è creare invidie su chi abbia il biglietto da visita più raffinato e curato. Scena di culto del film è, infatti, il contest fra colleghi su chi ha il biglietto da visita più bello. Essi a turno mostrano e descrivono la fattura del proprio biglietto, opinando sulla qualità della carta, le tonalità del bianco, e sull’effetto della filigrana, come se stessero parlando di un’opera d’arte.
Alla fine del film il racconto si conclude con il vuoto che circonda Patrick. Il protagonista resta solo, come in verità è sempre stato dall’inizio del film: nessuno lo conosce, nessuno lo considera, e molti lo scambiano per altri.
Il finale è il continuo della critica di Ellis: una linea sottile tra distopia psicotica e macabra realtà. La sua condanna eterna sarà di continuare a desiderare il male per ciò che lo circonda, ciò che non apprezza, perché non può fare a meno della sua sete di sangue.
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