In quest’anno un po’ particolare, io, il Nabbo, Saeturnus e Shadow, ci siamo sbizzarriti su vari editoriali. Il mese scorso abbiamo trattato Lovecraft e le sue influenze sulla nostra cultura nerd, oggi parleremo del grandioso scrittore Oscar Wilde.
Oscar Fingal O’Flahertie Wills Wilde, noto come Oscar Wilde nasce a Dublino il 16 ottobre 1854. È stato uno scrittore, aforista, poeta, drammaturgo, giornalista e saggista irlandese dell’età vittoriana, esponente del decadentismo e dell’estetismo britannici.
Dalla scrittura raffinata incline alla ricerca del bon mot (della “battuta” di spirito), con uno stile talora sferzante e impertinente egli voleva risvegliare l’attenzione dei suoi lettori e invitarli alla riflessione. È noto soprattutto per aforismi e paradossi.
A volte è meglio tacere e sembrare stupidi che aprir bocca e togliere ogni dubbio.
Nato da famiglia irlandese, con origini locali, inglesi e forse italiane, Oscar Wilde si è trasferito poi in Inghilterra.
Nonostante il talento, è molto conosciuto per il processo e la condanna a due anni di lavori forzati per l’episodio più notevole «gross public indecency», come era definita l’omosessualità dalla legge penale che codificava le regole, anche morali, riguardanti la sessualità. Wilde, già sposato, perse inoltre la possibilità di vedere i due figli. Dovette abbandonare la Gran Bretagna per l’Europa continentale. Morì in Francia per meningoencefalite, dopo essersi convertito in punto di morte alla religione cattolica.
Le sue opere, tra le quali – in particolare – i suoi testi teatrali, sono considerate dai critici dei capolavori del teatro dell’Ottocento.
Figlio di due persone notevoli, il padre, Sir William, era un celebre oftalmologo irlandese, fondatore di un ospedale a Dublino (il St Mark) e autore di diversi trattati medici ritenuti validi per molto tempo. La passione per le donne sciupò la sua fama di medico e scienziato: fu accusato di stupro ai danni di una ragazza diciannovenne, Mary Travers. Il processo che ne seguì, quasi un preannuncio di quello che in seguito subirà il figlio Oscar Wilde.
La madre, Jane Francesca Elgee, era una poetezsa irlandese di remote origini inglesi e d’ispirazione byroniana. Era conosciuta con lo pseudonimo Speranza, che deriva dal motto:
Fidanza, speranza, costanza.
La poetessa affermava di discendere da una nobile famiglia toscana, ma è decisamente poco probabile. Proprio come il figlio, la madre tendeva a nascondere la sua vera età, che venne però ricavata dalla sua richiesta di finanziamento alla “Royal Literary Fund” nel 1888.
Oscar Wilde aveva poco in comune con il padre, molto invece con la madre, cui somigliava nell’aspetto, nella voce, nelle eccentricità e nella passione per la letteratura.
Nel 1886 Wilde conobbe Robert Ross, 17enne che, per aver rivelato alla sua famiglia la sua omosessualità, aveva dovuto abbandonare la propria casa. Oscar chiamava il giovane San Roberto di Phillmore, per la sua capacità di affascinare le persone inducendole in tentazione, così come era accaduto per lui stesso. Robert, dopo aver recitato alcune delle poesie di Oscar Wilde, venne gettato in una fontana da alcuni compagni di classe incitati dal professore che si pentirono così di avergli causato una polmonite e una congestione celebrale.
Ross non era l’unico amante di Wilde, c’era anche André Raffalovich. La relazione intima fra i due ben presto finì sostituita da quella con altri ragazzi che Wilde invitava a casa sua come il diciassettenne Richard Le Gallienne e Bernard Berenson, che però rifiutò ogni rapporto con lo scrittore.
Parlarvi dei suoi libri, dei suoi amori, di lui, non penso basterebbe un articolo intero. Perciò stavolta vi propongo qualcosa di più particolare: uno spettacolo del Teatro dell’Elfo.
Cosa uccise Oscar Wilde? Il conformismo ipocrita della società vittoriana.
In Atti Osceni – I processi di Oscar Wilde, l’illustre regista Moisés Kaufman racconta, dopo cent’anni dalla sua scomparsa, la gogna che gli è stata riservata nonostante il suo genio incredibile. La messa in scena racconta dal capolavoro di eleganza e di satira con il quale lo scrittore inglese aveva cercato di distruggere l’ipocrisia della sua epoca e in particolare della classe dirigente alla sua morte.
Gli spettatori sono catapultati in un’aula di giustizia, alle prese col contenzioso legale nato da un biglietto che Lord Queensberry, il padre di Bosie, il ragazzo di cui è innamorato lo scrittore.
‘Oscar Wilde si atteggia a sodomita’
Questo è il volantino che fa recapitare a uno dei club da lui frequentati. L’esteta reagisce con una querela, ma non vince il processo: è costretto a ritirarsi, per via di compromettenti giovani chiamati in causa a riferire dei loro pregressi rapporti con lui. Nonostante questo passo indietro, però, la foga di scoprire la “verità” sulla sua natura sessuale diventa un baluardo della classe dirigente e della Regina Vittoria: il suo calvario ha inizio.
Questo spettacolo fa parte di un dittico che Ferdinando Bruni e Francesco Frongia avevano dedicato a Wilde nel 2017 e compone, con L’importanza di chiamarsi Ernesto l’affresco per contrasti di cui si accennava prima.
Se nella messa in scena di Bruni e Frongia è la commedia che domina l’atmosfera, in Atti Osceni ci sono chiaroscuri e tagli di luce che ricreano l’aula del tribunale in cui vanno in scena i tre processi che coinvolsero Wilde nel 1895.
Un ritmo vivace che mette al centro della narrazione il personaggio di Oscar Wilde, interpretato da Giovanni Franzoni. Capace di flemma e un’immedesimazione intensa ed emozionante. Un Wilde che inizialmente è sprezzante e ironico, che si difende con l’arte e con la verità. Una verità che però la maggior parte delle persone non sembra capire o voler ascoltare perché differente dalle proprie convinzioni e dai valori che il puritanesimo va inneggiando in quegli anni. Siamo nell’epoca dei costumi ipocriti e corrotti, dove l’apparenza è significativamente più importante di chi si è o si ama davvero.
Un Wilde che verso la fine è distrutto, stanco di questa gogna, di questo piacere nel distruggere ogni estremità del suo essere e del suo creato. Nel gran numero di interpreti si distinguono il giovane Riccardo Buffonini, interprete di Bosie, e Ciro Masella, Lord Queensberry.
L’amore che non si può dire
Delicato e allo stesso tempo incisivo, intenso e di una bellezza rara: una messa in scena impossibile da dimenticare.
Oscar Wilde muore il 30 novembre del 1900. Una figura che ha creato un mondo, ha “riesumato” un movimento artistico, culturale, estetico.
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