Iniziamo subito questa intervista!
Quella persona che passeggia fischiettando e si ferma sbalordita davanti a una vetrina libraria, vedendo per la prima volta il riflesso.
Per la lettura l’ho detto in un’altra occasione: non ne ho, apprezzo chi riesce a sbalordirmi quanto la semplicità del respiro di un neonato. Quanto alla scrittura dipende dall’ispirazione, scrivo, e quello che viene fuori trova la sua collocazione, che potrebbe spaziare dalla narrativa al noir, passando per il thriller, boh.
Perché? Esistono confini in letteratura? Siamo noi a marcarli se no ci perdiamo, ci disorientiamo? Non so, immagino l’hard boiled per come viene inteso negli States: uova sode, roba densa, non dura, che si lascia masticare attaccandosi ai denti, perciò, nulla adatto ai benpensanti con il filo interdentale tra le dita, personaggi affascinanti e fuori di testa che se ne sbattono di come la pensi. Il noir, invece, è un viaggio cosmico alla ricerca di vita, nella mente, di ciò che si vorrebbe ora, adesso, trovare una soluzione e pentirsene. Personaggi dannati, vittime di sé stessi e degli altri, che si cercano e non ci riescono, condannati alla solitudine senza possibilità d’uscita, se non l’unica possibile: morire.
Se non sono pazzi non li vogliamo, potevo mancare? In realtà mi è stata proposta dalla loro valutatrice di testi che gode della mia stima (smisurata), mi fido di lei più di me stesso. Magari avranno di che pentirsene, ma non sarà stata colpa mia. Una casa editrice tutta al femminile che ha una visione e chi sogna ha tutto il mio rispetto, Giulia mi ha accolto e non ho avuto la necessità di chiederle di restare.
Pronti con le torte da tirare in faccia? Mi capita, quando scrivo di nuovo, di dimenticare quello che ho fatto prima, sino a schifarlo, un fastidioso intralcio sulla nuova strada, magari sterrata e polverosa, ma preferisco asfissiarmi che guardare indietro, nella scrittura, tornare glabro con la pelle liscia quanto il culo di un bambino. Uhm… buona quella ai mirtilli.
Ti rispondo con un passo tratto dal libro, testé:
“Mafalda, una donna che tutti dovrebbero avere la ventura di conoscere e parlare con lei anche solo per cinque minuti, confessare la propria vita, i dolori, le aspirazioni, le gioie e le sconfitte.
Rilassante, gratificante.
Riusciva dove il migliore degli psicanalisti falliva, e costava poco: solo cinquanta euro.”
Ho fatto incazzare quella di prima (la smisurata), l’errore era di inviarle il prologo di “Un giorno da clochard”, l’avessi mai fatto: “Ma ti rendi conto?” No. Ora tocca finirlo.
La follia.
Se mi sono divertito? Da matti, meglio delle discoteche a sedici anni e le pischelle che vedevo come pop star sulle piste, e io ci stavo dentro come stivali nella melma. Un esercizio di chi doveva aver visto il mondo, quel mondo. Avete mai parlato con un assassino, uno vero? Io sì. Scoprire il degrado, la devastazione ma anche l’umanità, fragile, talvolta inconsapevole di chi si sente ai margini, di quelli su abissi profondi talmente da vedere tempeste scorrere sotto i piedi, lacrime e cinismo che si fondono in ologrammi; finti, veri. Dipende dai punti di vista finche gli sguardi s’incrociano e capisci. Capisci di non potere capire, di restare con la domanda sulle labbra dove non c’è risposta, non una possibile, qui, sulla Terra.
Il 19 e 20 giugno al Buk Festival di Modena, pensa: esco il 18, che figata!
Grazie per essere stato con noi e buona continuazione!
Il Nabbo della Porta Accanto!
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