Saga edizioni

Le novelle horror della Nonna

Le Novelle Horror della Nonna assecondano l’immaginario dei grandi e dei piccini capaci di ammettere serenamente l’esistenza di un mondo misterioso, talvolta oscuro. Di Francesca Tibo.

Le novelle horror della Nonna 

Nella superba foresta di Vallombrosa, una campagna selvaggia e misteriosa, che si estende in Toscana per centinaia e centinaia di chilometri quadrati ancora oggi quasi disabitati, c’è il monte Farneta. Lì, in una grande casa colonica, ogni domenica, nonna Regina ripopola i boschi e le strade casentinesi. Racconta a figli, nuore e nipoti le vicende mozzafiato di personaggi fantastici. Principi e re, spade e armature, lupi mannari, fantasmi, vampiri, angeli e santi. Non solo: streghe, zombie, diavolacci e buffi gatti stregati si muovono nella valle a colpi di maledizioni, sortilegi e tremende battaglie. Ogni tanto, lì arriva anche Belzebù. Per narrare di un mondo – esoterico, favolistico e religioso – di cui oramai si è perso il ricordo. Le Novelle Horror della Nonna assecondano l’immaginario dei grandi e dei piccini capaci di ammettere serenamente l’esistenza di un mondo misterioso, talvolta oscuro. Basta solo chiudere gli occhi e lasciarsi guidare. 

L’Autrice 

Sono fondamentalmente una misantropa. Ho grande difficoltà ad amare e frequentare l’umanità, perciò vivo il più possibile nella mia casa dove leggo, scrivo, studio e mi occupo della mia famiglia e dei nostri animali, sei gatti e una cagnolina di vent’anni che nonostante sia sorda, cieca e incontinente, gioca e salta ancora come una cucciolotta. Acquisto tutto on line, ma proprio tutto tutto, persino la spesa perché odio negozi e supermercati. Conto di comprare una casetta in montagna, ai margini della foresta, dove andare a vivere quando mio figlio sarà autonomo e maggiorenne. Non ho fatto grandi cose nella vita, per esempio ho viaggiato molto poco perché ho terrore dell’autostrada e di volare, ma conto, prima o poi, di girare gli Stati Uniti in lungo e in largo con il treno, dopo una traversata oceanica in nave. Mi ci vorrà un annetto. Da “giovine” lasciato l’università al terzo anno di Medicina per passare a Storia, l’altra mia passione che meglio si conciliava con quello che era il mio lavoro, ossia l’educatrice nel carcere minorile della mia città, Firenze, una grande scuola di vita. mi sono sposata e ho avuto mio figlio tardi, a trentasei anni e quando sono diventata mamma ho deciso di lasciare tutto per dedicarmi a lui completamente. In quest’epoca è una scelta quasi inconcepibile, ma rimango della convinzione che, ovviamente quando possibile, il nido sia da evitare perché un bambino ha bisogno della mamma e basta.

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