Sherlock Holmes è la mia passione.
Neanche tanto segreta direi.
Eppure, sono totalmente fissata, ossessionata dal personaggio creato da Doyle.
Che è un grande scrittore, che ha dato alla luce libri di un certo livello culturale.
E che è rimasto, per, legato a suo malgrado con quella figura considerata un po’ da romanzetto.
Holmes era odiato dai colti e persino dal suo creatore.
Troppo assurdo, eppure affascinate proprio per il suo rifiuto del modo delle emozioni.
Holmes rimane un po’ l’emblema di chi si protegge dall’imprevedibilità della vita, grazie alla ragione, alla logica e all’osservazione attenta. Questo suo costante spirito analitico, lo rende sicuramente fastidioso e totalmente slegato dal mondo reale.
Perché noi tutti, siamo portati a interagire con esso in modo costante ed empatico, troppo per poterlo osservare come se fossimo capitati un po’ per caso.
Non è soltanto una caratteristica di tempi lontani, remoti.
È insita nell’essere umano, quello di vivere ogni accadimento cercando di raggiungere l’acme emozionale, come bagaglio da portare quando la nera signora deciderà di recidere il filo rosso di ogni esistenza.
Come dire, beviamo fino all’ultima goccia, finché c’è possibilità.
Holmes no.
In ogni suo remake, il protagonista mantiene sempre quella certa algida alienazione dal resto del mondo.
Persino nelle più esacerbate trasposizioni cinematografiche, ardite e a tratti sfrontate Holmes è riconoscibile dalla sua totale mancanza di sensibilità.
Tutto sembra scivolargli addosso, senza che nulla però penetri nel profondo.
È tutto spiegabile grazie ai numeri, tutto osservabile , senza che il lato onirico o irrazionale faccia la sua elegante comparsa.
Per questo lo adoro.
E adoro anche quelli che oggi, vengono chiamati apocrifi sherlockiani.
In realtà sono “imitazioni” a volte scritti derivati dalla suggestione che un unico grande talento ha saputo produrre ossia Doyle.
E forse dovremmo chiamarli doyliani.
Ma oramai il nostro Sherlock ha preso il via, si è staccato dalla carta stampata o dai byte per diventare un protagonista quasi reale.
Talmente scomodo il suo vociare, che molti autori DEVONO prestarli la loro penna affinché non smetta di raccontare, non tanto le sue avventure, quando l’importanza della logica.
E qua, il mistero nero fitto, viene diradato proprio dalla luce sfolgorante di una mente per noi irraggiungibile, inarrivabile e forse per questo cosi affascinante.
Pregio di questo testo è di non snaturare l’essenza stessa del famoso detective, innovando la storia con la freschezza di una modernità che si avverte si, ma in modo lieve, quassi soffuso.
Perché se leggendo non si presta attenzione ai piccoli dettagli, abilmente posti in essere dall’autore (che venero) non si avverte l’estraneità del personaggio, scaturito non dalla penna del buon vecchio Doyle, ma di un altro grande interprete.
E sapete quale innovazione si può recepire?
Leslie Coombs a Sherlock lo ama da morire.
E lo si avverte leggendo.
Laddove in Sir Doyle si avvertiva un leggero tono di repulsione, imitati da chi lo ha irriso nelle pastiche, qua c’è un amore intenso, profondo. Perché solo questo può dare alla luce una sua altra avventura.
Per renderlo eterno, immortale, attuale, mai totalmente sconfitto dalla ragnatela del tempo.
Ed è forse il motivo per cui Sherlock e il mistero nero fitto, l’ho amato, tanto e intensamente, anche io.
Alessandra Micheli
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