Come delfini tra pescecani di Francois Morlipi – edito Salani
Conoscete il film d’animazione le cinque leggende?
Ognuno dei protagonisti tenta in modo coraggioso di salvare il futuro di un’umanità che rischia di essere offuscata dall’uomo nero.
Che è e resta, nei secoli dei secoli, il simbolo di tutto ciò che si marcio esiste nella nostra terrena dimensione.
Cupidigia, potere, dominio, successo a ogni costo.
Sono questi i difetti che ci rendono sempre meno umani e più slogan di cartone.
La voglia di appartenere a qualcosa che ci riscatti da una vita difficile e priva di luce è la nostra vera dannazione.
E come l’uomo nero si nasconde famelico tra le pieghe del nostro io, in attesa di un istante di debolezza per rompere ogni argine e annegare tutto, anche il bello, anche la fantasia e la dolcezza di una quotidianità che si svuota di significato.
Le cinque leggende rappresentano ciò per cui vale la pena di vivere, elementi semplici e quasi flebili, senza la voce urlante e cacofonica dei difetti.
Sono però tenaci e forti, quanto una canna al vento, capace di piegarsi in una sorta di inchino al vento, ma incapace di spezzarsi.
Ecco le cinque leggende del film d’animazione sono paragonabili ai cinque di Monteverde.
In un dato fondamentale: ognuno cerca il suo centro.
E quel centro non è che la capacità di affrontare se stessi, sbrogliare il passato e trovare l’equilibrio che regga gli sferzanti colpi della tempesta, ma incapace di spazzarsi.
Mai inchino agli eventi deve essere visto come sottomissione.
E mai un’ossessione, un difetto, una limitazione deve risolversi come sudditanza all’uomo nero.
E nessuno di loro, né Ansaldi, né Eugenia, in fondo, sono sottomessi alle loro ferite.
Le vivono, si riparano, ma hanno il coraggio di guardarsi e magari anche ad avere compassione di se stessi.
Ed è questo che li rende capaci di risolvere ogni enigma, ogni delitto, ogni escursione nel regno del male.
Proprio perché frisagli essi risultano la pari cosi puri da non esserne contaminati mai.
E diventano strani delfini, capitati in una piscina ricca di feroci pesci dai denti acuminati, ma consapevoli che è l’unione, e la comprensione umana dell’altrui pensiero a renderli forti e invincibili.
Perché anche se navigano nel buio, se spesso la soluzione è cosi lontana e la matassa ingarbugliata, sanno che la luce prima o poi torna e che cercando cercano, l’inizio della matassa si trova sempre.
Con uno stile sofferto e ironico, potente e piacevolmente complesso senza però essere incomprensibile, Morlupi da ai lettori un altro indimenticabile libro.
Cosa lo rende complesso?
È la capacità di inserire nella trama altrettante sottotrame che sembrano distrarre apparentemente il lettore, ma che portano, alla fine, alla creazione dell’arazzo finale.
E questo che è complicato se non si è portatori di un discreto talento.
Le storie nelle storie, cosi come le descrive anche Carrol, rendono ogni libro, in particolare il noir, ricco di pathos e emozioni.
Non è un giallo in cui è importante soltanto risolvere il delitto.
Non è un thriller in cui importa soltanto scatenare nel lettore ansia e adrenalina.
È un noir.
E nel noir deve avere il privilegiato posto l’animo umano e la società che lo ospita.
E non è un caso che Morlupi scelga Roma.
Città millenaria, decadente eppure incapace di lasciarsi andare completamente al degrado.
Ed è quella sofferta ironia di stampo pasquiniano, quell’umanità che non vuole avvizzire sotto la pioggia scrosciante della delusione a salvarci.
E cosi Ansaldi è proprio lo spirito di ogni comunità che conscia di essere sul baratro dell’abisso, non si lascia mai andare.
E dall’abisso, ironia della sorte, trae l’energia giusta per non cadere nel fondo, ma per farsi crescere le ali per poter raggiungere il cielo che gli spetta.
E cosi il delitto si colora di dolore.
E cosi la divisione tra buoni e cattivi sfuma, in una costante tragicomica commedia umana alla ricerca disperata del proprio centro.
Un libro di quelli che non si dimentica facilmente e che consiglio, per la molteplicità di sfumature che non lo rendono affatto dispersivo, ma accattivante e se posso dirlo, poetico.
Dannatamente poetico.
Alessandra Micheli