Gli occhi di Tammy Faye: un biopic riuscito grazie agli attori
Gli occhi di Tammy Faye, il film diretto da Michael Showalter, è l’adattamento dell’omonimo documentario di Fenton Bailey e Randy Barbato e racconta la vera storia di Tammy Faye Bakker (Jessica Chastain) e di suo marito Jim (Andrew Garfield), due predicatori televisivi americani che negli anni 70′ e 80′ ebbero uno straordinario successo.
Tammy Faye (Jessica Chastain): È la nostra missione aiutare chiunque stia soffrendo e si senta escluso. Lui ha un progetto per noi!
Gli occhi di Tammy Faye
La straordinaria ascesa, caduta e redenzione della telepredicatrice Tammy Faye Bakker. Fra gli anni Settanta e Ottanta, Tammy Faye e il marito Jim Bakker fondarono il più importante network televisivo religioso statunitense, realizzarono un grande parco divertimenti e raggiunsero il successo grazie al loro messaggio di amore, benevolenza e prosperità. Tammy Faye diventò una leggenda per le sue ciglia, il suo modo di cantare e il suo entusiasmo nell’accogliere persone di ogni estrazione sociale. Nel corso degli anni però…
1952. L’ascesa e la costruzione di un impero. Tammy Faye e suo marito Jim Bakker, nel corso degli anni ’70, crearono la più nota rete televisiva di trasmissioni religiose al mondo, arrivando a ottenere – con l’avvento del satellite – medie di 20 milioni di telespettatori al giorno.
Questo film racconta in maniera abbastanza fedele il percorso che porterà prima all’enorme notorietà poi alla terribile caduta questa coppia: ambiguo e calcolatore lui, tremendamente naif lei.
Finiranno nell’occhio del ciclone quando Jim sarà accusato di truffa, frode fiscale, uso improprio dei fondi raccolti dalle donazioni che arrivavano dagli “associati”, oltre ad uno scandalo sessuale che lo vedeva invischiato in una storia di stupro. Non solo, anche in uno scandalo sessuale omosessuale.
La vera protagonista è Tammy Faye, dalla sua infanzia alla sua caduta e poi alla sua rinascita. Con le sue straordinarie ciglia e il suo trucco impostato e riconoscibilissimo, il suo modo di cantare e la voglia di accogliere persone di ogni estrazione sociale, addirittura (per quell’epoca, gli anni ’80) provando a sfondare il tabù dell’omofobia che, naturalmente, era argomento impensabile da affrontare in trasmissioni di un certo tipo.
Commento
La dicotomia vita privata – vita pubblica è proprio a medaglia in questo caso. Nero e bianco, bianco e nero. Dolore e felicità, felicità e dolore.
Tammy Faye ha avuto una vita difficile, agiata, ma fortemente dolorosa, di solitudine. Un ambiente dove o si amava lei, o non l’amava nessuno.
Grossi bassi e pochi alti, questo film non riesce a mantenere l’attenzione dell’autore per più di dieci minuti consecutivi.
Anche se, va riconosciuto, quel Battle Hymn of the Republic (Glory, Glory halleluhja, per intenderci) che una Tammy Faye/Jessica Chastain invecchiata e appesantita (comunque sempre sotto quintali di trucco, matita permanente sulle labbra e ciglia finte) interpreta nel finale – con annessa allucinazione – vale più dell’insieme di molte altre scene precedenti.
Candidato per Migliore attrice protagonista, miglior trucco e acconciatura.