Case infestate: L’incubo di Hill House di Shirley Jackson
Sarebbe un’ottima idea sorseggiare un tè caldo e mangiarsi due biscotti allo zenzero e cannella insieme a Shirley Jackson per Halloween. Con questa mia proposta, correrò il rischio diinfastidire i protagonisti di questa sua storia, ben più avvezzi a intrattenere conversazioni e a conciliare il sonno con Martini e brandy.
Oggi siamo alla presenza di una maestra delle storie gotiche, di quell’horror psicologico che strizza l’occhio alle ghost stories pur non avendo in sé veri e propri fantasmi. O per essere più chiari, non i classici fantasmi che ci si aspetterebbe di trovare per Halloween.
Per usare le parole del Re, nella sua dedica rivolta alla scrittrice statunitense in apertura de L’incendiaria, la Jackson non ha bisogno di alzare la voce per far paura.
Le è bastato riunire un piccolo gruppo di persone all’interno di un maniero praticamente deserto, custodito da una coppia di guardiani, i coniugi Dudley, che evitano accuratamente di trovarsi nelle vicinanze della casa una volta calata l’oscurità.
Hill House è la vera protagonista di questa storia. Abituatevi a percepirla come un’entità vitale, perché già osservandola da lontano, imporrà la sua presenza inquietante su di voi e sui vostri pensieri. Hill House non è stregata. È disturbata, corrotta, malata.Non sono le morti avvenute nelle sue stanze a incutere timore, o le storie dei suoi abitanti passati. È stata costruita imperfetta, inclinata, la sua pianta è un gioco ottico che disorienta e confonde. Un depistaggio architettonico voluto proprio dal vecchio Hugh Crain, proprietario e ideatore della casa.
L’occhio umano non può isolare l’infelice combinazione di linee e spazi che evoca il male sulla facciata di una casa, e tuttavia un accostamento folle, un angolo sghembo, un convergere accidentale di tetto e cielo, facevano di Hill House un luogo di disperazione, tanto più spaventoso perché la facciata sembrava sveglia, con le finestre vuote e vigili a un tempo e un tocco di esultanza nel sopracciglio di un cornicione.
Il professor Montague, antropologo specializzato in fenomeni paranormali, ha deciso di affittare Hill House per mettere in pratica i suoi studi e poter carpire i segreti di quel “luogo non adatto agli uomini, né all’amore, né alla speranza”. Per fare ciò ha selezionato i nominativi di soggetti iscritti negli archivi delle società di parapsicologia, fiducioso di poter sfruttare le loro capacità di medium.
Eleanor Vance e Theodora “e basta” sono le prime ad arrivare, seguite a breve dai due uomini, il professore e l’erede di Hill House, Luke Sanderson.
A intrattenere il loro soggiorno saranno per lo più scricchiolii, porte chi si chiudono da sole, stanze che sembrano cambiareposizione, bruschi cali di temperature, tutti elementi che porteranno i malcapitati a dubitare delle proprie sensazioni, a chiedersi cosa sia reale e cosa semplicemente immaginato.
A subire maggiormente gli effetti della casa sarà Eleanor, la fragile Nell. Una ragazza chiaramente infelice e dalle ali incollate, costretta in una vita di insoddisfazione e al servizio dei bisogni e dei capricci degli altri. Il viaggio verso Hill House è la sua fuga personale, una decisione presa da lei soltanto in cui cerca quella libertà a lei sempre negata.
Non farlo, disse Eleanor alla bambina; insisti per avere la tua tazza di stelle; una volta che ti hanno incastrata e costretta a essere come tutti gli altri non la vedrai mai più, la tua tazza di stelle; non farlo […].
Ma a quanto pare i suoi fantasmi sul suolo di Hill House trovano una base solida dove attecchire, corpi fisici in cui materializzarsi. E qui la maestria della Jackson si divertirà a ingannarvi e non sarà solo Eleanor a vagare confusa chiedendosi se la casa stia parlando proprio a lei. Anche voi lettori vi chiederete cosa sta succedendo: state leggendo i pensieri di una pazza egocentrica o è la casa a giocare con voi? Quello che stanno vivendo i personaggi è solo frutto di una soggezione di massa indotta dai deliri di Nell o la casa è veramente stregata?
Forse la realtà racchiude proprio questo in sé: una sottointesa consapevolezza di non essere in grado di carpire l’essenza delle cose o anche solo di attribuire loro una natura; vi è un margine di mutevolezza continuo in noi che impedisce la definizione di una planimetria stabile della nostra mente.
Anzi, direi proprio che alla fine saranno poche le certezze annotate nel vostro taccuino di investigatori del paranormale, forse solo il fatto che
“I piatti vanno sulle mensole. La tovaglia va nei cassetti della biancheria nella sala da pranzo. Le posate vano nella custodia delle posate. I bicchieri vanno sulle mensole. Io sparecchio alle dieci. Metto in tavola all’una.”
Alessia Bertini