Maledizione Notre Dame di Barbara Frale – Newton Compton
Il romanzo storico, in generale, ha il grande potere di farti viaggiare nel tempo e nello spazio. È un romanzo che non stanca, non annoia, non basta. Ecco, Maledizione Notre-Dame a me non è bastato, ne avrei letto volentieri ancora. Una serie veramente ricca di fascino. Ma vediamo nel dettaglio perché non mi è bastato.
Maledizione Notre-Dame
Un po’ per l’ambientazione, la Parigi del 1300. Ritorna con i palazzi con i tetti di ardesia azzurra e le finestre di pietra e ogiva intagliate come merletti di Île-de-la-Cité. Culla di anime nere. E poi la pioggia che la bagna a gennaio con le campagne invase dalla nebbiolina gelida e le strade del centro sempre più vuote e ispiratrici di pensieri di morte.
Un po’ per il tema, una maledizione che si respira come trasportata da un’intelligenza estranea a questo mondo. Nera come il fondo dell’inferno tra benessere e patimento.
Un po’ per Filippo il Bello che deve gestire una minaccia difficile da comprendere. La sua ansia. Le tensioni che si sviluppano intorno a lui. Le inquietudini e le speranze. Il sovrano che preferì la Francia all’impero.
Un po’ per Dante, sì proprio lui, il nostro Poeta, il Sommo, quello che quando sogna ti porta con sé in un’altra dimensione, davanti a porte misteriose e inquietanti, dentro foreste lugubri e pericolose, e poi ovviamente all’Inferno, luogo che conosce veramente bene.
Un po’ per Bonifacio, quel Papa che ha avuto l’ardire di esiliare il nostro Poeta e che cerca la nipote scomparsa. Un uomo fuori di sé, capace di un’acredine corrosiva, bisognoso di vendetta e fonte inesauribile di timore che elargiva a beneficio di ogni carica, ecclesiastica e non.
Un po’ per il volto misterioso che sembra agire mosso dagli abili fili del demonio che inquieta e destabilizza tutta la trama permettendomi di bere le parole come una tisana fresca estiva, senza pausa, ristorante, soddisfacente. Un uomo colto, un poeta forse.
Molto per la creatività dell’autrice, anch’essa spinta da forze magiche che le hanno bisbigliato i segreti che con cura ha raccontato per noi. La sua scrittura si conferma fluida, musicale ed estremamente piacevole. Sa indubbiamente scrivere gli storici, è attenta ai dettagli (qui ci tengo ad avvisare i lettori che leggere un romanzo storico non significa leggere un manuale o una ricerca scientifica, perché spesso si sottolinea il termine storico e si tende a dimenticare che prima di tutto è un romanzo, che ha le sue regole e soprattutto le sue licenze da rispettare e da infrangere non solo per il lavoro dell’autore ma anche per il bene stesso del genere che rischia di essere sempre più appannaggio di maniaci e puristi). Dicevo dunque che la Frale è molto precisa nella creazione dell’ambientazione e competente rispetto alla materia, tuttavia non è questo il punto forte di questo romanzo secondo me ma lo è la sua sensibilità e la sua umanità che ha trasmesso ai personaggi proprio come un genitore farebbe con un figlio. Le fragilità, i dubbi, la confusione, l’arroganza sono ingredienti che i protagonisti di questo romanzo trovano tutti i giorni alla loro tavola.
Molto per la semplicità con cui si riesce a entrare dentro le pagine immaginando di ritrovarsi in un’epoca sicuramente suggestiva per le chiavi storiche che ci ha lasciato. Come lettrice ho vissuto in ogni stanza e ne ho apprezzato l’intimità. Ho calpestato ogni strada. Ho amato tanto le pause quanto i momenti di narrazione intensa, le tensioni, le sorprese, i sogni, il rapimento e gli intrighi. Li ho fatti miei e ho avuto voglia di ritornare una volta chiuso il libro ai punti chiave.
Un linguaggio semplice ed efficace a descrivere un mistero affascinante e coinvolgente. Pagine leggere e ricche di fascino, impossibili da perdere. Anch’io rapita chiudo il romanzo con la speranza che qualcuno venga a cercarmi.
Consiglio per la lettura: accompagnatela con fragranti e croccanti graufes dolci, meglio se appena sfornate e vin santo liquoroso e denso da sorseggiare.
-Jessica Dichiara