The Queen’s Gambit era il titolo originale di questa serie Netflix, ma si sa, nella traduzione si perde sempre qualcosa, il più delle volte. Quindi, da The Queen’s Gambit è diventato La regina degli scacchi.
È il momento di Arya Taylor-Joy, la protagonista de La regina degli scacchi.
La Regina di Scacchi è tratta dal romanzo The Queen’s of Gamblit di Walter Tevis, edito in Italia da Minimum Fax.
Beth non è mai esistita nella realtà, ma qualcosa di vero però c’è ed è più che altro da cercarsi nella biografia dello scrittore: ha iniziato a giocare a scacchi quando aveva sette anni assieme a sua sorella.
Harmon, un’orfana del Kentucky, è un prodigio degli scacchi tra gli anni ’50 e ’60. Si tratta di uno studio dinamico del personaggio con l’arco emozionale di un film sportivo, ambientato in un’epoca dove il livello culturale non è a favore delle donne.
Inizia a giocare a scacchi grazie al custode del suo orfanotrofio, un luogo che le rende difficile essere “emotivamente” stabile.
Più la storia si infittisce, più si nota come Harmon sia sicura di sé, delle sue capacità e di come abbia un rapporto strano con le sue emozioni e le situazioni “normali”. Harmon è un genio ed è davvero la regina degli scacchi.
Una volta adottata, si comprende ancora di più quando la madre sia un esempio poco appropriato per lei in campo emotivo. Alma, impersonata dalla regista Marielle Heller, ha dipendenze – come alcool e tabacco – che però non le impediscono di essere una rara fonte di gentilezza materna. Evidente invece la mancanza, per l’ennesima volta, della figura paterna. Addirittura, decideranno insieme di non avvertire nessuno che lui non tornerà più a casa.
Beth Harmon resta una creazione unica. Il suo genio negli scacchi, però, è alimentato in parte dalla sua dipendenza da un sedativo che tenta in ogni modo di prendere. Rubandoli persino dalla scatola dei farmaci della madre.
Il suo genio però, rimane indiscusso.
La regina degli scacchi ci svela un mondo che pochi di noi conoscevano: quello degli scacchisti.
Partendo dal design di produzione – opera di Uli Hanisch – che ci riporta a Mad Men. Inoltre la serie è a opera di Scott Frank, già conosciuto per Godless, e Allan Scott.
Tutti i protagonisti dello show lottano contro demoni, in particolare contro il vuoto emotivo – per quanto riguarda in particolare Beth Harmon. Non solo, la nostra protagonista lotta contro alcool e pillole e i traumi della sua infanzia. Specifichiamo: questa dipendenza non è il baratro verso qualcosa, ma un tentativo di cavalcare l’onda del successo il più possibile.
Tuttavia, nonostante lei sia un genio, viene comunque tacciata in quanto donna, spesso lo spettatore teme possa accaderle qualcosa quando è in presenza di uomini.
Anya Taylor-Joy ha impersonato la Beth adulta in modo eccezionale. I suoi grandi occhi, ben distanziati, sembrano sempre vedere più dimensioni delle persone intorno a lei.
Una serie che vale la pena di vedere e di godersi.
In attesa di una seconda stagione? Speriamo possa diventare realtà.
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